Testi critici

Testi critici a cura di:
Franz Arrighini, Pier ugo Bernardini, Enrico Ferri, Angelo Gianni, Mino Maccari, Antonio Manfredi, Mario Marzocchi, Roberto Pandiani, Antonio Possenti, Maria Rosa Venza, Marcello Venturoli, Ludovico Gierut, Giuseppe Cordoni, Eugenio Paoli, Divo Savelli e Pier Francesco Listri.

I filtri del silenzio

Esistono svariati modi di intraprendere il cammino dell'arte! La si può esercitare con la metodica ritualità d'una professione qualsiasi, o come un lucido diversivo, oppure la si può coltivare, quasi segretamente, come una passione necessaria. L'artista vi rincorre allora il suo volto smarrito della libertà. Un antidoto a tutti i veleni che la fatica quotidiana secerne nell'anima. Ora schiacciandola con la sua noia infeconda; ora immiserendola con le cifre dei suoi grigi e spieiati bilanci.
Quest'ultimo è l'itinerario inferiore che Piergiorgio Pistelli ha sempre percorso. Egli ha eletto questa sua pittura così discreta e sussurrata, allusiva e intimista a ideale dimora-rifugio della sua sensibilità di solitario cesellatore d'incanti. Vi ha eletto il suo baluardo spirituale inespugnato, ove una fresca memoria può resistere intatta ad ogni assalto. Per una sua naturale inclinazione, psicologica, oltreché estetica!- egli sa prendere le distanze dal vortice immediato delle sensazioni e delle passioni. Mare per lui troppo vasto ed inquietante! Non ci si può tuffare nel suo gorgo senza rischiare di farvi naufragio.
Eccolo allora decantarci la materia delle sue emozioni, un raccoglimento che ci rende come sognato il suo dialogo con le creature e le cose. Le stesse dimensioni delle sue opere, queste minute tavolette su cui le trame dell'olio sedimentano spessori successivi di toni caldi e crepuscolari, acquistano a poco a poco la preziosità di esili miniature.
Sembrano fatte apposta per accompagnarci, -ma quanto mai discretamente!- in un viaggio nell'intimo dei suoi desideri. Non si tratta in verità di una fuga dal reale, quanto piuttosto di una sua lenta distillazione amorosa.
Setacciati così a questo filtro mentale del suo interiore silenzio, ben pochi frammenti figurali sono sufficienti a Pistelli per evocare tutta la profondità del suo vissuto: un'eco delle sue amate pinete viareggine, sempre più astrattamente elaborate; queste sue soffuse nature morte che celano manne sullo sfondo deli afosi e notturni; la penombra di certi suoi interni appena delineati, dove assorta si consuma l'attesa, -forse la solitudine- di tutte le sue donne sognate.
La strategia del desiderio che in lui più tenace persiste, che più reclama di essere esaudito, prende allora consistenza pittorica e rivela la sua mèta. "Isolarsi" in una dolce prigione dove attingere dalla memoria più segreta quel volto della libertà sempre invano rincorso e circuito. Ed ecco allora affiorare l'essenza grafica e cromatica di questi suoi piccoli paradisi vegetali. La sua cella di recluso felice altro non è che il grembo ritrovato d'un'armonica natura. Egli vi contempla la struttura portante di ogni albero; indaga com'esso vi sostenga sempre più in alto la sua forma la sua essenza vitale. Come se ogni fusto dovesse farsi alberatura di un vascello che sospinge controvento le sue vele, per un viaggio immaginario nel poco cielo che resta visibile, non ancora saturato dalla massa delle chiome ("Crepuscolo"). Altrove lo sguardo si pone sempre aldiquà dell'armonica barriera dei rami. Gioca a reinventarla, a stilizzarla, ad astrarne traiettorie di forze misteriose e insospettate. Una sorta d'immensa travatura che sostiene nel bosco della memoria la volta di un solido e musicale edificio. Essa carcera e protegge; consente finalmente a queste sue tenere visioni di riaffiorare alla coscienza silenziocannente.
Anche lo spazio pittorico finisce così per essere scandito dalla ritmica fluidità della pennellata. E toni caldi e pastosi si sovrappongono; vellutando le superfici, smussando in accordi leggeri la rigidità dei contorni. Così ogni natura morta s'apre su fugati abbozzi di cieli ingombri; su marine che riemergono da luminescenze notturne appena sillabate. E la pelle cipriata di molte sue frutta disseminate lungo spiagge incolte, canta la pienezza delle stagioni e la loro fragilità contro la notte che le divora ("Pesche di vigna"). Rosa e violetto, altro sangue vegetale circola nelle vene d'un'estate che ci porge così discretamente il suo dono. Quasi timorosa di troppo maturare, già in bilico sul filo dell'autunno. Allo stesso modo anche le figure delle sue ragazze, sorprese nella morbida luce della loro domestica intimità, ci appaiono come circonfuse d'eros e malinconia ("Giulia"); sembra così che anch'es- se "fluiscano", rarefatte e trasognate, adombrano nella loro mitezza crepuscolare un'intima bramosia di fuga; o, come in "Al mare di sera", appoggiano alla balaustra dei loro sogni svaniti la loro giovinezza vermiglia. Come un bel frutto che nessuno ha ancora colto!

Giuseppe Cordoni (Pietrasanta, Festa d'Ognissanti, 1993)